Ideazione e coordinamento generale:
Diego Lazzarini / Vesign Studio – Venice
ALATI – Bicchieri o coppe con alette laterali in vetro, collocate a fianco o sopra i manici, per decorazione. Detti in tedesco “Flùgelglàser”, sono tipici del XVI-XVI1 secolo.
ALBÓL o ALBUÓL – Cassa di legno adibita alla miscelazione del miscuglio vetrificato. Oggi di uso abbastanza raro.
ALBOLÉTI – Albóli più piccoli.
ALLUME CATINO – Cenere vegetale sodica, importata con questo nome dalla Siria e usata come fondente.
AMÀLGAMA – Tecnica usata sino a tutto il secolo XVIII per l’argentatura degli specchi: consiste nell’applicazione di un foglio di stagno sulla lastra di vetro mediante il mercurio.
ANZINELLO – Gancio di ferro, fissato sull’anzipetto (v.) in grado di sostenere il peso della canna e del vetro all’estremità di questo e posto su di un asse normale alla bocca del forno (v.).
ANZIPETTO – Tavola di legno spesso, spesso rivestita in lamiera metallica e sulla sinistra della bocca del forno (v.) tale da proteggere il vetraio dall’irraggiamento del forno stesso.
APPLICAZIONI A CALDO – Tecnica molto usata a Murano e consistente nell’applicazione, durante la lavorazione dell’oggetto, di fili, bordi, manici ecc. di varia foggia, colore e dimensione. Il risultato è da considerarsi esteticamente valido quando tali applicazioni risultano regolari e precise.
ARA (anche ERA) – In antico, la parte posteriore del forno muranese, che fungeva anche da tempera, ossia serviva alla “ricottura” degli oggetti finiti.
ASIO (AGIO o POSTO DI LAVORO) – Ripiano orizzontale leggermente inclinato sotto la “bocca” del forno. Sorta di “vassoio” sul quale spesso cola il vetro fuso quando viene estratto dai CROGIOLI.
ATTACCAGAMBI – Mansione tipica nella lavorazione dei bicchieri o di altri oggetti con gambo. Di norma affidata ad un operaio abile e con qualifica di poco inferiore a quella del “maestro”.
AVÓLIO – Giunzione di vetro a forma di piccolo rocchetto tra la coppa e il piede (cioè la base) in un bicchiere, in una coppa o in un tipetto (v.).
AVVENTURINA – Pasta vitrea particolarmente pregiata, inventata dai vetrai muranesi nella prima metà del XVII secolo e così chiamata perchè il suo ottenimento, anche per il più esperto vetraio, era incerto e difficile, era una “ventura”. La preparazione della “avventurina”, lunga e delicata, alla conclusione della quale si formano all’interno della massa piccoli cristalli di rame lamellari e lucenti (“stelle”, da cui il nome “stellaria”, con cui pure Tawenturina” venne indicata in passato) E’ sempre stata nel corso dei secoli segreto di pochi abili tecnici compositori. Viene estratta in blocchi dal forno, già lentamente raffreddato, e la sua rifusione pur seriamente pregiudicare il suo caratteristico aspetto. Viene quindi tagliata a freddo al pari di una pietra dura o lavorata a caldo con particolari accorgimenti. L’avventurina normale ha un colore brunastro con “stelle”, mentre una qualità ancora più pregiata (verdrame) acquista una tonalità verdastra di ottimo effetto.
BALLOTTON – Stampo in metallo con effetto a rilievi incrociati sul vetro. Lo stampo contiene all’interno delle “punte” a forma di piccola piramide a base quadrata che, nella soffiatura, danno per l’appunto un effetto di rilievo incrociato. Ricoprendo una pea (v.) stampata a ballotton con una coperta (v.) tipo sommerso (v.) si ottiene l’effetto buscante o “a bolle”, consistente in una miriade di vere, piccolissime bolle d’aria comprese tra due strati di vetro.
BÀNCO (DEL FORNO) – Nel forno tradizionale muranese tutta la porzione orizzontale bassa in grosso materiale refrattario destinata a sorreggere i crogioli o padelle, (v.), i palati (v.), le ninfette (v.) e i croisioli (v.). Al centro del banco vi era un foro di circa 30/40 cm. di diametro detto “odo” (occhio), che metteva in comunicazione lo stesso con la castra (v.) sottostante e permetteva l’afflusso della fiamma nel forno propriamene detto. La fiamma, infine, per l’effetto naturale del tiraggio, tendeva ad uscire dalle varie bocche del forno dando così luogo ad una circolazione di fiamme necessaria per le calde (v.) e la lavorazione dei vetri in genere per poi infine uscire dal cavalletto (v.) nella tempera e nell’ara (v.j.
BESEGNÀCHO – Termine antico che doveva probabilmente indicare un tipo di vetro soffiato.
BEVÀNTE – Così viene denominata la parte superiore di un bicchiere, quella cioè destinata a contenere il liquido.
BÓCCA – Apertura rettangolare il cui lato superiore è arrotondato. Si tratta del vero “ingresso” al forno dall’esterno e può essere di varie dimensioni in relazione alla grandezza dell’oggetto da eseguire che viene introdotto mediante canne (v.) o puntelli (v.) che si appoggiano a loro volta suH’ancinelIo (v.).
BOLO – Termine muranese per indicare il primo grumo di vetro fuso, appena levato dal forno, prima della lavorazione. Un medesimo significato hanno il “pastone”, la pareson (v.) e la levàda (v.).
BORSÈLLA – Classico e fondamentale strumento di lavoro del vetraio. E’ una sorta di pinza elastica a forma di “molla da caminetto”; serve per strozzare, modellare e dar forma agli oggetti. A seconda delle specifiche operazioni di modellatura avremo borselle di vari tipi:
– da siègar (segare, strozzare)
– da pissegàr (pizzicare)
– a gelosia (terminante con palette piccole con “segni” incrociati in metallo)
– a scueòto (a forma di cucchiaio)
– a coppo (a forma di tegola)
– a a un gàtolo (con un incavo trasversale)
– a do gàtoli (con due incavi trasversali)
– a squataròn (con molti incavi trasversali)
– a spin de pesse (a spina di pesce)
– lissie (piatte e larghe senza modellatura)
BRONZINO – Grossa piastra, oggi in ferro, anticamente in bronzo (da cui l’etimologia) che, posta orizzontalmente su di un tavolo o cavalletto, permette varie fasi di lavorazione del vetro. Viene usato per arrotondare e predisporre la pèa (v.) prima della soffiatura. In origine era anche in marmo, detto quindi màlmoro.
BUFFADÓR – Termine antico che indicava un vetraio muranese di modesta qualifica professionale, normalmente adibito alla fabbricazione di vetri d’uso comune (bicchieri, caraffe).
BUFFARÌA – In antico sta per vetreria soffiata d’uso comune.
CALCEDÒNIO (anche CHALZADÒNIO) – Pasta vitrea a base scura, rossa in trasparenza, con venature policrome, imitante una varietà del calcedonio naturale, l’agata zonata. Inventata a Murano intorno alla metà del XV secolo, la sua difficile preparazione prevede raggiunta nel crogiolo di fusione di vari composti metallici, con modalità ed in tempi determinati. Il segreto della sua fabbricazione, perduto tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, venne riscoperto dal vetraio ottocentesco Lorenzo Radi.
CALCHERÀ – In antico, il locale ove si faceva la calcinazione della miscela di silice e fondente (operazione preliminare della fusione vera e propria del vetro nel crogiolo).
CALDA – Operazione fondamentale che viene compiuta più volte durante la lavorazione di un “pezzo”. Consiste nell’introdurre nella bocca del forno, il pezzo in lavorazione attaccato alla canna (v.) o al puntello (v.) allo scopo di rammollirlo onde consentire all’operatore una ulteriore modellazione. La “calda” dura molto poco (mediamente dieci, quindici secondi). La “mezza calda” è una “calda”, ma di durata inferiore.
CALDIÈRE DA LÌSIA DE CRESTÀLI – Grosse caldaie per liscivare la cenere vegetale che, in epoca antica, doveva fornire a Murano il fondente adatto per la preparazione del “cristallo”.
CANNA – Arnese fondamentale per la lavorazione del vetro. Consiste in un tubo lungo circa 140/150 cm. e di diametro variante tra i 2/4 cm., forato internamente. Una estremità è leggermente conica onde agevolare la soffiatura, la parte opposta è talvolta ingrossata. La “canna” (scoperta verso il 1 sec. d.C. sembra in Siria), consente la soffiatura del vetro che, attinto dal crogiolo, viene “avvolto” attorno all’estremità ingrossata. La soffiatura ha luogo tutte le volte che si desidera ottenere oggetti cavi (vasi, bottiglie ecc.). Nei vecchi inventari sono talvolta indicate come “feri buxi” ovvero ferri bucati. Le canne vengono dette anche semplicemente “ferri”.
CARAMÀL – Locale coperto, attiguo alla fornace, dove si teneva la legna di faggio prima di “stuarla”, prima di metterla cioè a seccare rapidamente nelle “stùe” (stufe).
CASSA – Grosso cucchiaio in metallo, a forma di mezza sfera che serve per “missiar” (mescolare) o per estrarre dal crogiolo il materiale fuso per traghettarlo su altri crogioli o distenderlo sul bronzino (v.) per lavorazioni particolari (per esempio lastre e “quari” per specchi). Prime notizie su questo utensile fondamentale si hanno nel 1348 (in latino: “cadami ad tra- getando”).
CASSIOLÌN – Sta per cassa (v.), ma di misura più piccola.
CASTRA – Parte inferiore del forno classico muranese, a forma di parallelepipedo, ove si bruciava la legna di faggio la cui fiamma, passando attraverso lodo (v.) del banco (v.) veniva a lambire i crogioli e si espandeva per tutto il forno propriamente detto.
CAVALLETTO – Sorta di scatola in materiale refrattario, della forma della “buca del suggeritore” che, nei forni muranesi tradizionali muniti posteriormente della tempera (v.), convogliava le fiamme che, uscite dalla castra (v.) attraverso lodo (v.) dopo aver lambito i crogioli, passavano sulla tempera stessa per l’opportuna ricottura dei “pezzi” eseguiti.
CESENDELLO – Tipica lampada da appendere a forma di cilindro allungato entro il quale si versava l’olio che, mediante stoppino, bruciava lentamente illuminando gli ambienti. Celeberrimo è il cesendello dipinto da Vittore Carpaccio ne “Il sogno di S. Orsola”.
CIOCCA – In veneziano “mazzo di fiori”. Termine muranese in uso dal XVIII sec. per indicare il lampadario veneziano classico, formato da fiori, foglie, bracci. Da questo termine discende “el Liogo de le ciòcche” ossia il locale dove i lampadari veneziani vengono assemblati.
CÒGOLI – Ciottoli quarzosi di fiume ridotti in polvere finissima e usati già dalla prima metà del Trecento dai muranesi per ottenere la silice al posto della sabbia. Importanti, per l’alto contenuto di silicio, erano i “cogoli del Tesfn” (ciottoli del Ticino).
COLATURA – Tecnica impiegata nella fabbricazione delle lastre da finestra e da specchio. Consiste nel colare direttamente il vetro fuso entro apposite forme rettangolari di varie misure (nel vecchio gergo “quari”). La colatura fu adottata in larga scala verso la fine del XVII sec. a Murano, in Francia e ad Altare, presso Savona.
COLLÉTTO – Collarino di vetro rimasto attaccato all’estremità delle canne o dei puntelli.
CÓNCA – Grosso vaso cilindrico a fondo concavo, di solito in bronzo o in ghisa, che serve per contenere il vetro fuso estratto dai crogioli e che non viene più utilizzato se non come cotizzo (v.).
CONFITÈRA – Detta anche “dulcèra”. E’ un vaso con coperchio, una sorta di potiche, usata nella vetraria spagnola per contenere dolci (XVII XVIII sec.). “Confitère” sono citate in un inventario della fornace di Maria e Giovanni Barovier del 4 maggio 1496.
COLORAZIONE A CALDO SENZA FUSIONE – Processo esclusivo di colorazione del vetro realizzato verso la fine degli Anni Venti da Ercole Barovier. Consiste nell’inserire durante la lavorazione e tra due strati di vetro trasparente ed incandescente delle sostanze chimiche (ossidi, sali) o altri elementi tali da suscitare, per effetto dell’alta temperatura, reazioni ed effetti coloranti speciali e di particolare bellezza, di norma mai identici gli uni agli altri.
COLORI IN FÓGO – Locuzione ancora in uso a Murano e che sta ad indicare un vetro colorato in fusione mediante ossidi o sali minerali.
CONTERIE – Oggi si chiamano “conterie” le perle di dimensioni molto piccole, ottenute sezionando a freddo sottili canne vitree forate e sottoponendo i cilindretti ottenuti ad un arrotondamento a caldo. Un tempo esse venivano chiamate col nome “margarite” di origine latina mentre il termine “conterie” indicava le perle più grosse, pure ottenute da canna forata ma arrotondate accostandole al fuoco infilate in uno spiedo. Le “conterie”, usate per gli scambi con gli indigeni dei Paesi coloniali, vengono fabbricate a Venezia fin dal XVI sec. La loro denominazione è nota solo dal XVII sec. e deriva dal portoghese “conto” significante: denaro, o forse anche dal latino “comptus”, che significa “ornato”.
COPERTA – Strato uniforme di vetro fuso applicato sulla p,a (v.) o su un oggetto già parzialmente formato. Tecnica per ottenere l’effetto di sommerso (v.) o doublé (v.), da non confondersi con la lèvada (v.).
CONZAÙRA – Letteralmente: acconciatura, predisposizione. E’ una sorta di “piattello” in vetro di diametro 6/8 cm., sul quale si posa il pastone per “tirar la canna”
COTÌZZO – (Cotizza o cotticela, cioè non del tutto cotta). Coacervo di grossi pezzi di vetro, usualmente della misura di ciottoli di fiume. Il cotizzo si ottiene anche gettando nelle conche (v.) il vetro fuso estratto dai crogioli, lasciandolo iridi raffreddare. Il vetro, nel processo di raffreddamento. si contrae e si spezza in grossi pezzi. Il cotizzo, come rottame di vetro, viene spesso riusato quale catalizzatore nella miscela del vetro. Il Capitolare del 1766 parla di “cotizzi di vetro e cristallo, che cosi si chiama la massa informe del vetro che si cava dal vaso”.
CRISTALLO – (Cristallo Veneziano) Vetro incolore e terso, ottenuto per la prima volta attorno alla metà del XV secolo, oltre che con la decolorazione mediante il manganese, già prima praticata, anche con la depurazione, cui veniva sottoposta la cenere fondente, e con speciali procedimenti applicati alla condotta della fusione. Il cristallo veneziano, di tipo sodico, è adatto, a differenza dei più tardi cristalli boemo, alla potassa, ed inglese, al piombo, ad una lunga e complessa lavorazione manuale da parte del maestro vetraio.
CRISTALLINO – Cosi veniva anche definito il cristallo (v.) veneziano scoperto da un maestro vetraio verso la metà del quattrocento.
CROISIOL – Piccolo crogiolo, che contiene circa 8-10 Kg. di vetro fuso.
CRÓZZOLA – Sorta di “paletta del croupier” a lungo manico, usata per “spiumare” la superficie del vetro in fusione nei crogioli e togliere le impurità salite a galla.
DIÀVOLO – Carrello a due ruote, posteriormente con un lungo manico e anteriormente a forma di bidente orizzontale. Su quest’ultimo veniva posizionato un crogiolo incandescente da sostituirsi con uno logoro, o rotto. Il “diavolo” veniva poi spinto sul banco (v.) la cui bocca era del tutto abbattuta e il cui asio (v.) rimosso consentiva l’introduzione col fuoco acceso del nuovo crogiolo.
DOUBLÉ – Termine francese che sta ad indicare un oggetto formato da due strati di vetro, di norma di colore diverso, e tali da consentire l’intaglio a freddo.
FENÌCIO – Tipo di decorazione ottenuta a caldo, applicando attorno alle pareti dei soffiati, dei fili vitrei, che poi vengono pettinati con uno speciale strumento, cosi da ottenere dei festoni ripetuti. Questi scaldati e soffiati ulteriormente, possono essere inglobati nella parete del vaso, che risulta così liscia. Questa tecnica decorativa venne introdotta nelle vetrerie mura- nesi alla fine del XVI secolo o nel XVII secolo ma non sappiamo come allora venisse denominata. Il termine “fenicio” venne adottato nella seconda metà del XIX secolo per la presenza di simili decorazioni nei vetri preromani fenici ed egiziani, ma si usò allora pure il termine “graffito”, (vedi anche vetri “piumati” e a “pettine”) poi abbandonato.
FERRO DA BÀTTER – Semplice sbarra piatta in ferro di circa 30 cm. di lunghezza che, impugnata ad una estremità serve per togliere il morso (v.) di vetro dalle canne o dai puntelli battendo sul vetro stesso o sulla canna (vibrazione).
FIGA (Ciapàr el figà) – Termine muranese che indica un difetto del colore rosso (ottenuto con minerali di cadmio e selenio) quando il colore anziché essere trasparente e brillante è opaco e del colore appunto del fegato (in veneto figà). Letteralmente, “ciapàr el figà”, significa che il vetro ha il colore del fegato.
FILIGRANA – Raffinata tecnica decorativa a caldo, inventata a Murano nella prima metà del XVI secolo. La complessa lavorazione dei soffiati a “filigrana” prevede l’utilizzo di bacchette in cristallo, precedentemente preparate con all’interno fili vitrei in “latti- mo” o colorati, lisci od a spirale. Si distinguono la filigrana a “reticello”, con una delicata trama a rete all’interno della parete di cristallo; la filigrana a “retortoli”, a fili variamente ritorti a spirale, chiamata anche “zanfìrico”, dal nome dell’antiquario veneziano Antonio Sanquirico, che commissionò nella prima metà del XIX secolo numerose copie di vetri antichi fabbricati con questa tecnica. Negli ultimi decenni sono stati ideati a Murano nuovi originali tipi di filigrana. Viene chiamata “mezza filigrana” la decorazione a canne parallele, a filo interno diritto, lavorata in modo tale che assume andamento diagonale. Già verso la metà del XVI secolo, come ci informa la “Mariegola dei Fioleri” (v.), si lavoravano vetri a “redexello” o a “retortoli” (reticello e ritorti). La filigrana o reticello si ottiene mediante sottili canne in vetro con al loro interno fili di vetro opaco, generalmente bianco. Queste canne (simili a matite) vengono accostate le une alle altre su di una piastra refrattaria, quindi riscaldate al fuoco della fornace finchÈ si fondono e si uniscono le une alle altre. La “piastra” cosi ottenuta viene successivamente “avvolta” attorno ad un cilindro di vetro trasparente e incandescente, cosicché risulteranno visibili i soli fili interni (bianchi o colorati). Si procede poi alla normale soffiatura e formatura di oggetti vari (vasi, coppe ecc.). Nel caso del “reticello” classico, l’operazione sopra descritta viene compiuta in due fasi successive e sempre a caldo finchÈ i fili si incrociano tra loro: questa esecuzione richiede una notevole perizia tecnica ed una elevata sensibilità artistica.
FILO – Classica decorazione in vetro, che si applica solitamente sul bordo superiore di una coppa, di un vaso, di un bicchiere, a caldo. II filo può essere di vari spessori, colori (opachi e trasparenti) ed ha una funzione decorativa. Se è ondulato viene chiamato morise (v.).
FINALE – Nei lampadari classici veneziani è la decorazione inferiore penultima. Di forme svariate è di norma munito di una rondella metallica filettata, tale da poterlo avvitare alla montatura metallica del lampadario. Attaccato con filo d’argento al finale è spesso il “fiocco” (v .) .
FIOCCO – Ultima parte decorativa, talvolta a forma di fiocco da tappezzieri (da cui prende il nome), legato al finale (v.) mediante filo d’argento. Il fiocco può anche avere forma di oliva, di pallina ecc.
FIOLE – Le fìòle, o fiale sono chiamate a Venezia le bottiglie soffiate in vetro comune.
FIOLÉR (FIOLÀRIO) – Termine arcaico (Vili sec.) che sta ad indicare il vetraio soffiatore di fiale, ovvero di oggetti cavi soffiati.
FORCELLA – Utensile fondamentale del “forcellante” o temperi- sta; lo specialista addetto alla tempera (rectius – ricottura) degli oggetti. Consiste in un lungo tondino in ferro lungo circa tre metri, biforcuto ad una estremità. Con esso il forcellante “manovra” i vetri ancora caldi e li sposta nella camera di raffreddamento detta in gergo tempera (v.) a seconda delle 0
FORMA – Termine già reperibile ai primi del XV secolo e che indicava uno stampo apribile. E’ un termine muranese usato tuttora (vedi anche “stampi”).
FONDÌNO – Coppa in vetro, spesso decorata con fili (v.), morise (v.) e fiori in vetro che racchiude la parte metallica forata sulla quale vengono inseriti: i bracci, le foglie, i fiori e le decorazioni in genere che costituiscono il lampadario veneziano. Sottostante al fondino, nell’ordine, troviamo: il passasòrze (v.), il finale (v.) e il fiocco (v.).
FRITTA – Cosi era chiamata a Murano la massa vetrosa, dopo la prima fusione, che avveniva separatamente dall’affinaggio. Attualmente le due fasi avvengono in un unico processo. In francese “fritte”, in inglese “frit” e in tedesco “fritte” è una prima calcinazione della miscela silice-fondente destinata a diventare vetro.
GAMBO – E’ lo stelo, di varia forma (anche zoomorfa) che sostiene il bevante del bicchiere e che si trova tra questo e il piede.
GARZONÈTTO – Nella gerarchia del vetro d’arte, è il più giovane apprendista al quale vengono affidate le mansioni più semplici e umili.
GASTALDO – Capo dell’arte dei vetrai, rappresentante dei padroni di fornace e che veniva annualmente eletto da essi (dal sec. XIII al XVIII).
GOBELETTO – Termine italianizzato (dal francese “gobelet” e dall’inglese “goblet”) e che sta ad indicare il bicchiere in genere.
GRAFFITO (Vedi FENICIO).
GRANZIOLI GRANZIOLONI – Frammenti di vetro, della dimensione del sale grosso da cucina o anche di un fine ghiaino, che serve per effetti coloristici speciali. Quando i “granzioli” sono più piccoli, sono detti macie (v.). Mentre i “granziolòni” sono di maggiori dimensioni.
INCÀLMO – Difficile e tipica tecnica muranese consistente nella saldatura a caldo di due soffiati aperti, generalmente di colore diverso, lungo i loro due orli di uguale circonferenza, così da ottenere in uno stesso oggetto zone coloristiche differenziate.
INCISIONE – L’incisione a punta di diamante venne introdotta a Murano per la prima volta da Vincenzo d’Angelo su specchi nel 1534 o 1535 e lo stesso Vincenzo ottenne nel 1549 un “privilegio” per l’inciso a punta di diamante su specchi e soffiati. Con la vetraria alla “fa^on de Venise” venne poi diffusa in tutta Europa, specialmente in Tirolo e nei Paesi Bassi. L’incisione con una ruotina di pietra abrasiva o metallo deriva dalla incisione delle pietre dure e venne applicata con splendidi risultati in Germania e Boemia nel sec. XVII. Alla fine di quel secolo venne introdotta anche a Venezia con l’arhvo di incisori tedeschi.
INCOSSÀ – Termine che sta ad indicare un vetro non completamente limpido.
INFORNARE INFORNAMENTO–CARICAMENTO – Significa introdurre la miscela da vetro nei crogioli, nei quali poi avverrà la fusione.
INGHISTÈRA (anche GUASTADA o ANGUISTARA o ANGHISTERA) – Specie di caraffa a lungo collo e senza manico, adatta a contenere liquidi, con piede conico che spesso “entrava” sul fondo della caraffa, e molto panciuta. Assieme ai moioli o muioli (v.), costituiva un prodotto seriale, di basso valore estetico, lavorato a Murano da vetrai di “seconda categoria”, detti buffadori (v.). Il Boerio, nel suo “dizionario del dialetto veneziano” definiva l’inghistera come “misura di vino che si vende al minuto nella provincia di Verona”. E’ un termine che risale al 1120 e che esce dall’incrocio di: “angusto” (stretto) e da una parola di origine greca: “gastra”.
IMPIRARÈSSA (da impiràr = infilare) – Era la donna che, a tempo perso, infilava le perle in ventagli di lunghi aghi terminanti con sottili fili. Le collane così realizzate venivano riconsegnate al fabbricante per la successiva vendita.
INVERIAR – Così si dice del fenomeno di “smaltatura” dei crogioli esposti ai “vapori di vetro” quando sono nel forno acceso.
IRIDE (irisè) – Effetto coloristico di “arcobaleno”. Si ottiene fumigando l’oggetto ancora caldo con sali di cloruro stannoso.
LATTIMO – Vetro bianco opaco, simile nell’aspetto alla porcellana. Un lattimo adatto alla soffiatura venne inventato a Murano attorno alla metà del XV secolo, allo scopo di imitare le prime porcellane cinesi allora giunte in Europa, dove non se ne conosceva il segreto di fabbricazione. L’opacizzante allora usato fu “calce di piombo e stagno”, poi sostituito da altri componenti. Detto da Angelo Barovier (XV sec.) “vetro porcellano”.
LEVADA – (LEVAR) – Termine tradizionale muranese per indicare il prelievo del vetro fuso dal crogiolo mediante la canna già con la pèa (v.) o pallina (v.) formata in modo da ottenere uno strato di vetro. L’operazione può essere ripetuta più volte dopo aver “temporizzato”, cioè dopo aver lasciato leggermente raffreddare il vetro sottostante. Nelle operazioni di manutenzione dei forni, “levàr o métter pastèlli” consisteva invece neH’aumentare o ridurre la misura della bocca del forno mediante applicazione a strati successivi di materiale refrattario.
MACIE (maciètte, màcie fine) – Frammenti di vetro, in genere colorati, che, avvolti attorno ad un vetro bianco, conferiscono al medesimo il colore dei frammenti (di qui il termine macia = macchia). Maciette, macie fine = Macie ancor più fini.
MAÈSTRO – Termine recente che sta ad indicare l’operaio più abile della quipe dei vetrai d’arte e responsabile del buon funzionamento della piazza (v.). A lui di regola, il datore di lavoro delega una serie di poteri esecutivi nella piazza stessa.
MAGIOSSO – Specie di mezza sfera concava, con manico, tutta in legno. Utensile che serve ad arrotondare la pea (v.) e renderla di forma precisa. Deriva dal termine francese ÓmaillocheÓ da cui il verbo “magiossàr”
MAISTRAPA – Oggetto in vetro, di provenienza muranese, che si trova in vari inventari, ma non è ben identificabile.
MAÌSTRO DA CANNA – Così veniva indicato il capo della squadra addetta al tiraggio a caldo della canna in vetro, prima fase per ottenere le perle. Era anche detto ”tiracanna”
MARGARITE – Termine veneziano che sta ad indicare la “perla”in vetro. Dal latino “margaritae” indica la perla ricavata da canna forata.
MARGARITÉRI – Così venivano indicati nel sei/settecento i fabbricanti di perle in vetro. Se lavoravano successivamente le perle più grosse venivano detti anche suppialùme (v.). .
MARIÉGOLA (anche “matricola” o “capitolare”) – Sorta di “giornale di bordo” o libro fondamentale sul quale di volta in volta venivano iscritti i nuovi maestri, i padroni di fornace, le “regole” (da qui mariegola = mater regulae) per l’assunzione e i licenziamenti e tutti i fatti inerenti alla vita della corporazione dei vetrai, come pure lo statuto dell’arte. Le prime notizie riguardanti i vetrai veneziani, risalgono al 1271.
MARMORIZZÀR – Operazione consistente nel far scorrere rotolando la canna già munita di pèa (v.) sul bronzino (v.) per equalizzare gli spessori del vetro e far ben aderire tra loro le eventuali coperte (v.).
MARSÓR – MARSORÉTTO – Termine rinascimentale che indicava probabilmente coppe con piede.
MEZZA STAMPAÙRA – Artificio tecnico consistente nell’applicare sul fondo di un soffiato, attaccato alla canna, un ulteriore strato vitreo a calotta e neH’imprimerlo in uno stampo aperto così da ottenere costolature di discreto spessore. Tale tecnica decorativa venne usata nelle vetrerie muranesi almeno dal XV secolo e, precedentemente, in epoca romana.
MILLEFIORI (ROSETTE) – Canne vitree piene e forate, a strati di diverso colore, da cui si possono ricavare cilindretti, recanti in sezione caratteristici motivi decorativi a stelle concentriche. Fabbricate a Murano dalla fine del XV secolo, vennero utilizzate per realizzare perle, oggetti soffiati e massicci. Tipo di decorazione in auge anche nel XIX secolo a Murano.
MOIOLI o MUIOLI – Termine veneto, oggi scomparso, che sta ad indicare bicchieri semplici e comuni eseguiti per lo più dai buffadòri (v.).
MORÌSE, MORISÉTTE – Tipica decorazione muranese a forma ondulata, eseguita partendo da un filo di vetro caldo applicato su di una superfìcie e “pizzicandolo” con le borselle da pissegar (v.). In sostanza è un cordoncino di vetro deposto e sagomato sull’oggetto in corso di lavoro dal caratteristico andamento ondulato.
MÒRSO – La porzione di vetra che è attaccata alle canne o ai puntelli.
NINFA – NINFETTA – Crogiolo di misura ridotta, adatto a contenere 30/35 Kg. di vetro fuso. La “ninfetta” è un crogiolo ancor più piccolo, in grado di contenere circa 12 Kg. di vetro.
ÓCIO – Occhio, vedi banco.
OLDANO – Termine arcaico che individuava vetri non soffiati.
ORICÀNNO – Vaso per profumi; termine arcaico che si trova nei documenti e nelle antiche cronache veneziane nei secoli XII e XIII.
ORO GRAFFITO – Sottile foglia d’oro applicata con un collante alle pareti degli oggetti vitrei già raffreddati, indi graffita con uno strumento appuntito così da ottenere un motivo decorativo. Questa tecnica venne introdotta a Murano nella seconda metà del XV secolo e ripresa nella seconda metà del XIX. Allora venne recuperata anche una variante più complessa di questa tecnica, già usata in vetri paleocristiani del lll-IV secolo d.C., nei quali la foglia di vetro graffita è imprigionata tra due strati di vetro.
OSELLA – Medaglia commemorativa, recante lo stemma di Murano, del Podestà e dei quattro deputati veniva coniata annualmente in pochi esemplari in oro e in argento, offerta al Doge e ad altre personalità ricorda con il suo nome (oselle = uccelli) il tempo in cui venivano offerti dei volatili quale ricognizione del vassallaggio di Murano a Venezia.
PACIÓFI – Arnesi del vetraio simili alle borsélle (v.), ma terminanti con due bastoni in legno. Vengono adoperati per “aprire” un vaso e tutte le volte che si deve evitare che il vetro risulti “strisciato” da arnesi metallici. Paciofèti = più piccoli dei paciofi propriamente detti, sono usati per “aprire” oggetti delicati (bicchieri, piccoli vasi ecc.).
PADELLA o PAELLA – Crogioli della capacità di oltre 40 Kg. Già nel 1280 abbiamo notizie di “Tera de Pathelis” ossia materiale refrattario per formare crogioli. 1 crogioli son anche detti “vasi fusori”.
PALATO (PAELÀTI = PADELLATI) – Il più grande dei crogioli usati a Murano, del diametro circa di 1 metro e contenente circa 150 Kg. di vetro in fusione. modellare l’oggetto.
PALLINA – Detta anche colletto (v.).
PALLÓR – Sorta di patina traslucida che talvolta appare su bicchieri e altri oggetti e che si verifica se le proporzioni della miscela vetrificabile non sono esatte. Si dice anche che “el véro spua” cioè che il vetro sputa.
PAPAÓR – Piccolo cilindro in vetro, spesso con bacinella sottostante, e in grado di sostenere una candela nei bracci dei lampadari o nei candelieri.
PARAISÓN (lÈva paraisòn) – Termine mutuato dal francese e che significa “l^var” il vetro e prepararlo per la soffiatura. “Lèva paraisòn!” era l’ordine che il maistro da canna dava ai sottoposti per iniziare la lavorazione delle perle.
PARTÉGOLA (partègolla) o PERTÉGOLA – In antico stava ad indicare un arnese dal lungo manico che serviva per “spiumare el vero”, cioè togliere le impurità che, in fusione, fossero salite in superficie.
PARTIA – Termine muranese, derivante dalla parola “partita” (divisa), e che indica la ricetta per le composizioni vetrarie con i quantitativi dei vari componenti, le modalità d’uso e di fusione. Il “libreto de le partìe” (libretto delle ricette) era spesso tramandato di padre in figlio e gelosamente conservato al fine di impedire ai concorrenti di copiare procedimenti e colori.
PASSASÓRZE – Letteralmente “passatopo”. Cilindro in vetro, leggermente più stretto nel centro e a forma di rocchetto. Sorta di “distanziatore” tra il fondino (v.) e il finale (v.) del lampadario classico veneziano.
PASTÈLO – Materiale refrattario o creta trattati come una lunga salsiccia e con la quale venivano ridotte le misure delle bocche del forno o si “stuccavano” porzioni esterne danneggiate del forno di fusione.
PATERNOSTRI – PATERNOSTRÈRI – Presso i veneziani così si chiamavano i grani del rosario, fafbricati spesso in vetro, in modo simile alle conterie. Gli artigiani che se ne occupavano si chiamavano perciò “paternostrèri”.
PÈA – Detta anche pallina (v.). E’ la fase iniziale di un qualsiasi oggetto cavo in vetro. Etimologicamente significa “pera” perchè di quel frutto ha forma. Attaccata alla canna la pèa viene marmorizzata (v.), magiossata (v.) all’occorrenza.
PIAZZA – Nella fornace classica muranese sta per squadra (da quattro a otto uomini) e tutto quanto è necessario per produrre un oggetto. E’, in realtà, l’unità produttiva fondamentale e autonoma, in grado di eseguire un “pezzo” dall’inizio alla completa realizzazione. Ne è a capo il “maestro” che ha una sorta di responsabilità (e autorità) delegata da parte della direzione aziendale.
PIE (piede) – Porzione inferiore di un bicchiere, a forma di tromba e che “slancia” la coppa propriamente detta.
PITTURA A SMALTI – Pittura sulle pareti di vasi vitrei, già completati in fornace, con smalti, cioè sostanze coloranti costituite essenzialmente di vetro polverizzato ed impastato con una sostanza grassa. Per fondere in un’unica massa la parete del vaso e lo smalto, così da rendere questa indelebile, un tempo si riattaccava l’oggetto dipinto al pontellò per riportarlo a contatto col fuoco, ora lo si pone in un forno di ricottura, essendo gli smalti fusibili a più bassa temperatura.Questa pratica decorativa, attestata a Murano tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XV sec. conobbe alterne fortune nei secoli seguenti ed è praticata ancor oggi.
PIUMATI – Vetri con particolare decorazione, detta anche “A PETTINE” o “A PENNE” o anche “GRAFFITO” e “FENICIO”. Di origine antica, la decorazione fu usata dai Romani e, dal secolo XVI, dai veneziani.
PONTELLO – Canne di ferro massiccio, lunghe circa 140 cm. e del diametro tra i 10 e i 30 mm. con le quali si “attacca” un oggetto in fase di lavorazione. Il termine muranese passò ben presto in Francia (PONTIL) e in Inghilterra (PUNTY).
PORTÌNA – Piastra in materiale refrattario, della stessa forma e misura della bocca del forno e che serve per ostruirla durante la fusione. Appoggiata semplicemente impedisce al calore del forno di disperdersi.
POSO – Pietra viva, detta anche “galtella” e che le vecchie cronache descrivevano come: “pietre tenere che si cavano dalle Petriere di Verona, e che servono per fare centro, ossia il banco, delle fornaci”. La “pietra di Poso” è tuttora usata per certe lavorazioni.
POTÈ – Da un antico inventario del XV secolo: sorta di bicchiere (dal latino potere = bere).
PUNTELLAR – Operazione consistente nell’attaccare a caldo un oggetto col puntello (ad esempio una coppa) una volta che questo è stato aperto e terminato posteriormente. Di solito è un’operazione che si compie a metà della lavorazione.
PULEGÓSO – Vetro dalla superfìcie scabra, semi opaco o traslucido, formato da minutissime bollicine ottenute con particolari accorgimenti (bicarbonato di sodio, petrolio). Invenzione moderna, tipica degli anni Venti.
RASURA (RASORA, ROSURA) – Vecchio termine indicante un arnese in ferro per la condotta della fornace.
REAURO (o REAVOLO o REAULO) – Vecchia terminologia per indicare ferri da forno, ossia arnesi per accudire alla fornace propriamente detta.
REBLAR – Operazione che consiste nello “schiumare” sulla superfìcie del vetro in fusione, impurità o altro.
RECÈLA – Asola in vetro, ricavata a caldo, e alla quale si appendono i fiocchi, pendagli o altri elementi decorativi in vetro.
REDÈXELLO – Secondo notizie desunte dalla “Mariegola” (statuto dell’arte) dei vetrai di Murano, verso la metà del Cinquecento si lavoravano nelle fornaci dell’isola vetri soffiati sottili a “redexello”, così detti perchÈ ricordavano la rete dei pescatori. Forse l’idea di questa tecnica è proprio nata dall’osservazione di questo strumento di certo familiare a gente di mare come i veneziani. Si tratta di una esecuzione simile alla filigrana (v.) con canne tonde a filo interno bianco opaco “girate” in senso opposto tra loro e quindi “incrociate” durante la lavorazione a caldo mediante una tecnica difficile e ardita. Le forme semplicissime consentono all’amatore di godere completamente e senza barriere formali questo straordinario “tessuto di vetro”.
RETÓRTOLI – Termine antico che indica le canne di zanfirico (v.) o quelle di filigrana (v.). Sottili costolature ottenute con la soffiatura in uno stampo aperto di un vetro, il quale può venire sottoposto, ancora caldo, ad una torsione (rigadin ritorto).
ROCCA o ROCCHETTA – Era l’utensile cui si doveva ricorrere, invece che al pontello (v.) per sostenere un vetro da lavorare allo scanno da maestro, dopo averlo staccato dalla canna con cui era stato soffiato. Era un’asta di ferro, piuttosto lunga, foggiata ad una estremità in modo tale che si potesse “tenere” il vetro e liberarlo poi con facilità una volta terminata la modellazione. In vecchie carte, la rocca è indicata come: “INSTRUMENTUM QUO IN CONFLANDIS VASIS URINAR1IS UTUNTUR” .
ROSETTE – Sta per millefiori (v.), ossia minuti frammenti di canna tonda, spesso policromi e con vari disegni.
ROSSO RUBINO – Rosso rosato, particolarmente amato dai vetrai muranesi, realizzato usando come colorante una soluzione d’oro. La data ed il luogo d’invenzione di tale preziosa qualità di vetro sono controversi ma a Murano si conosceva il segreto della sua fabbricazione nella seconda metà del XIV secolo, come sappiamo da un ricettario manoscritto tuttora conservato. In antico (1536 ca.) era anche chiamato “ROSENGH1ERO” (rosei clari coloris, cfr. Gianbattista della Porta, napoletano, nella sua “Magia naturale” del 1589).
RULLI – In veneziano “rùi”, dischi piatti, soffiati col sistema detto in origine “della corona”. Usati per le finestre nel periodo tardo medievale e nel Rinascimento, nel XIX secolo vennero fabbricati a Murano in filigrana policroma a scopo decorativo e in colori vivaci. Sono detti anche “ruodi” (1405) o “ruoi” (1417) e “vessighette”.
SAPONE DEI VETRAI – Così chiamato, nell’uso popolare, il biossido di manganese, per le sue proprietà di decolorante.
SBRINDOLAR – Operazione consistente nel roteare più o meno velocemente la canna con la relativa péa (v.). Per effetto della roteazione e della conseguente forza centrifuga, la pèa, ancora molle, si allunga nella misura necessaria voluta dal vetraio.
SCAGNÈR – Così, in antico, veniva denominato il vetraio che produceva vetro d’arte, in contrapposizione con il maìstro da canna (v.) che soprassedeva alla produzione delle perle o conterie.
SCAGNO – E’ la sedia del maestro vetraio. Semplice scanno munito di due prolunghe parallele in legno rivestito di un piatto in ferro su cui l’operatore mediante un rotolamento di va e vieni della canna esegue una sorta di lavoro di “tornio orizzontale” che gli consente una lavorazione omogenea del pezzo da eseguire.
SCHIETTO – Così viene indicato in vecchi inventari muranesi un manufatto in vetro trasparente o colorato ma non decorato, nè inciso.
SCORSAÓR – Lunga asta di ferro massiccio leggermente ricurva nella parte terminale e adatta per “scorsàr” cioè ripulire o nettare Tinterno dei crogioli.
SERAÙRO – Così venivano in antico denominati i locali coperti dove avveniva la fusione del vetro o le seconde lavorazioni.
SERVA – Treppiede in ferro che sostiene un metallo orizzontale piatto su cui si appoggiano le parti posteriori delle canne (v.), spèi (v.) e puntelli (v.), mentre quelle anteriori sono in prossimità della bocca del forno.
SERVENTE – Nella gerarchia della piazza (v.) del vetro artistico è il primo aiutante del maestro e suo diretto collaboratore. Esplica mansioni di elevato contenuto tecnico e artistico ed è in grado, talvolta, di sostituire il maestro stesso.
SERVENTIN – Nella gerarchia del vetro artistico muranese è il terzo elemento, (dopo il maestro e il servente) della piazza (v.). E’ un giovane apprendista già abbastanza esperto ed in grado di svolgere mansioni di un certo impegno.
SIÀMBOLA – In antico ZEMBOLA: finitura simile alla sièla (v.) ma di maggior misura. Può essere “cavàda”, cioè ricavata direttamente da una parte di vetro in lavorazione, o “butàda” quando viene aggiunta all’oggetto.
SKIÈLA – Sorta di sottile e piccola tonda porzione di vetro, usata come separazione tra un pezzo di vetro e l’altro, simile all’avolio (v.).
SILIÈRA DE LUME – Termine quattro/cinquecentesco che stava ad indicare una cassa aperta, munita di stanghe laterali, e piena di fondente sodico. Detta anche SIVIERA o SOLIERA (in veneziano = barella).
SPIGNAÙRO o SPIANAÙRO o SP1ANAÙRO – Termine muranese per indicare I introduzione diretta di un colorante nella massa vitrea in fusione. Anche termine del primo Trecento che indica un ferro per calchÈa (v.).
SPÈI – In italiano: spiedi. Sottili canne massiccie di ca. 150 cm. di lunghezza e di diametro variante tra gli 8 e i 12 mm. Assieme ai pontelli (v.) (di calibro più grosso) e alle canne (v.) sono uno degli arnesi fondamentali del vetraio muranese.
SPUNCIÓN – Semplice sbarra tonda di ferro di 30 cm. circa e del diametro di 2 cm. circa. Utile per la modellazione iniziale di un vetro.
STAMPO – Utensile concavo in ferro o in antico in bronzo nel quale si soffia la pèa (v.) che dilatandosi viene modellata. Vari sono i tipi di stampo usati; ricordiamo quello a coste o rigature verticali quello a ballottòn (v.) quello a sèrci o a cerchi orizzontali. Si dice stampo a fermo quando per il tipo di costolature interne non è possibile girare la pèa (v.) nello stampo.
STAMPÉTO A FRAGOLA – Simile a quello a gemma (v.). Più che di una fragola, l’effetto finale è quello di un frutto di lampone. Serve anch’esso come piccolo stampo decorativo.
STAMPÉTO A GEMMA – Piccolo stampo a mezza sfera concava che viene usato come un sigillo su vetro fuso per ottenere piccole mezze sfere decorative, dette appunto: gemme.
STAZIONARI – Categoria commerciale che si occupava a Murano, tra il 500 e il 700, della vendita dei prodotti vetrari.
STIZADÓR – Operaio, spesso di bassa estrazione, detto anche “furlan” (friulano), addetto alla condotta del forno e talvolta adibito anche alla tempera Se lo stizadòr operava di notte veniva chiamato anche “furlàn de note” o friulano della notte. Infatti i “foresti” (i non muranesi) non potendo esercitare per legge l’arte del vetro, si accontentavano di eseguire umili mansioni. Tra essi, per laboriosità, si distinguevano i friulani, da cui appunto la denominazione.
SUPPIALÙME – Indica una categoria di vetrai che mediante una lucerna ad olio su cui soffiavano dell’aria potevano foggiare a caldo grosse perle grazie alla maggiore temperatura così ottenuta. L’arte dei “suppialùme” esisteva sin dal XVI secolo.
SUPIÉTO – Strumento dr ferro a forma di cono sull’interno del quale è saldata una cannuccia, sempre di ferro. Serve per una soffiatura di fortuna quando l’oggetto non è più attaccato alla canna.
TAGIÓL – Utensile del vetraio a forma di coltello a punta quadrata, usato per modellare il vetro durante la lavorazione.
TAGIÀNTI o TAIÀNTI – Termine tipico veneziano che significa: forbici per “tagliare” il vetro nelle fasi iniziali di lavorazione. Una variante è il “TAGIÀNTE TONDO” utilizzato per tagli particolari.
TEMPERA – Termine muranese improprio per indicare la “ricottura” del vetro o il forno dove avviene tale operazione.
TIPÉTTO – Voce gergale ottocentesca che a Murano indica una coppa o un vaso con piede il cui gambo è composto da un delfino o un cigno stilizzati.
A TORCÉLO, A TORSELLO – Significa il modo particolare di colorazione di un vetro a spegnaùro (v.) mediante una “tociàda” e poi, a mezzo di borselle da pissegàr (v.) avvolgendo e rimestando il vetro sul pontello (v.) ottenere una colorazione a striature.
VERIXÉLLI – Termine medievale per indicare gemme in vetro ad imitazione di quelle vere. I fabbricanti si unirono ben presto alla confraternita dei paternostri (v.).
VETRO A “CANNE” – E’ una variante, tutta muranese, delle murrine (v.). Invece di minuscoli tasselli in vetro si usano in questo caso delle “canne” sia cilindriche e massiccie che piatte e della misura di unaà lasagna. Accostate tra di loro, con combinazioni coloristiche diverse, e successivamente fuse e soffiate onde ottenere un vaso, un’anfora, una coppa, sono di particolare pregio e per l’effetto finale e per l’insita difficoltà esecutiva.
VETRO A “GHIACCIO” – Decorazione consistente in un’apparente crepatura della parete dei soffiati, ottenuta immergendoli nel corso della lavorazione, ancora caldi, in acqua.
VETRO INCAMICIATO – Detto anche “sommerso”, è una tecnica decorativa che permette di ottenere in uno stesso oggetto più strati sovrapposti, talvolta di colore diverso con suggestivi effetti cromatici. Il sommerso ebbe grande fortuna negli anni Trenta. Si ottiene immergendo il vetro di colore diverso. Il “vetro incamiciato” ha di norma strati più sottili rispetto al “sommerso”. In Francia tale tecnica, detta doublÈ (v.) o vetro raddoppiato, consentiva, con l’intaglio che raggiungeva il colore sottostante, effetti di notevole valore estetico.
VETRO “MURRINO” (mosaico a caldo) – Definizione impropria per descrivere una tipica lavorazione muranese risalente già alla vetraria classica Alessandrina. Consiste in una sorta di intarsio o di mosaico “a caldo”, cioÈ pezzetti di vetro, spesso modellati ad hoc, e fusi in modo che i vari tasselli, fondendosi, si saldino tra loro. Una tipica variante della murrina è il millefiori (v.), altrimenti detto rosette (v.). Tecnica decorativa di particolare difficoltà, praticata in epoca romana e recuperata a Murano all’inizio dell’ottavo decennio del XIX secolo presso la vetreria Salviati da Vincenzo Moretti. Il vetro-mosaico a millefiori si ottiene giustapponendo sezioni di canne vitree, recanti un motivo decorativo policromo all’interno, per tutta la loro lunghezza, e saldandole insieme al calore del forno.
VIANÀRDI – Vetri d’uso ordinario, già citati a Murano nel 1405, ma non meglio identificabili.
VOLTA – Ha due significati: A) procedura o sistema esecutivo ottimale per la realizzazione di un oggetto di vetro. B) parte superiore interna del forno classico muranese.
ZUCCARINI – Termine muranese dei secoli XVI e XVII per indicare vasi usati per versare liquidi lenti.
ZUCHONI – In un antico inventario così venivano denominate certe canne di cristallo
Progetto grafico:
Diego Lazzarini, Rosanna Toso / Vesign Studio – Venice
Collaboratori:
Massimo Mazzega
Fotografie:
Diego Lazzarini / Vesign Studio – Venice
Testi:
AnnaRosa Quartiero
Testi ricerca storica:
Rosa Barovier Mentasti
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